mercoledì 7 settembre 2011

Notti di fine estate

Taglio di luna velato da nubi dai contorni irregolari, aria frizzante, notti di prime coperte sopra le lenzuola, notti di una tarda estate oramai determinata a cedere il passo ad un autunno incipiente, notti che stentano a lasciare il posto ai progetti di serate accoccolati davanti al camino con il cartoccio di caldarroste in grembo, perchè il sogno di quelle trascorse a passeggiare sulla battigia sono ancora troppo vive e vivide.

Notti ancora troppo estive per il calendario e per il cuore per rassegnarsi a rannicchiarsi alla ricerca di tepore, notti di fotografie agostane negli occhi e di occhi non ancora pronti al buio di quella stagione che fa da preludio all'inverno.

Notti in cui combatti con i pensieri e con le rinnovate preoccupazioni del lavoro e ti sembra impossibile credere che soltanto pochi giorni fa eri altrove e ti sentivi altrove, in un altrove che ti sembra ancora una trasposizione dell'adesso, se non fosse per il contorno, che è completamente diverso e cela con la nebbia della realtà un sentire dissociato dall'hic et nunc.

Notti di lotta dura con il sonno, quel sonno che poco tempo fa ti accoglieva sfinito e felice e che ora ti seduce con il peso della giornata e di prospettive tutte in salita e, almeno apparentemente, di una lunghezza snervante. Cerchi di posticipare il contatto con il cuscino e il raggiungimento dell'orizzontalità che trapassa all'oblio per suggere le ultime gocce di un'estate talmente strana da essere troppo vera, cucita addosso da quel Destino che così raramente ti regala sorprese così catartiche e determinanti, bagliori di nuovi inizi che ti esplodono addosso come improvvisi fuochi di Sant'Elmo, destinati a restare impressi come un sigillo sulla pelle.

Resti immobile in una fase di inebriato sbalordimento, trasognato ti accorgi che stai sorridendo, inseguendo e rivivendo attimi, istanti, abbracciando persone e luoghi, quasi che solo la partecipazione completa di cuore e mente al ricordo lo possa rendere più attuale e, di nuovo, un'altra volta, soltanto tuo, per sempre.

Dov'è la realtà? dove il fantasma?

Costruire castelli di carta e, quando il vento soffia, scoprire che non hanno fondamenta.
Vivere in torri d'avorio, in rocche scolpite nella roccia millenaria, destinata a resistere alle stagioni e alle intemperie e non trovarci dentro nulla di famigliare e rassicurante.
L'eterna lotta tra la realtà e il sogno, o peggio, l'eterna schermaglia tra le mille verità percepite da occhi sempre autentici ma interpretate da cervelli diversamente cogitanti.

"A chi credere dei due? Chi è il pazzo? Dov’è la realtà? dove il fantasma?"
(Luigi Pirandello, La signora Frola e il signor Ponza)

Ma se la realtà non sta matematicamente nel mezzo, quale metro di giudizio ci resta?
Quale bussola nel mare della vita?
E, soprattutto, perchè esiste quell'innata tensione verso l'assoluto, se non ci è dato di discernerlo?
Sulle alte cime, dove l'aria pura ci rende quasi perfetti o nella melodia che diventita battito del cuore, o nell'occhio che diventa protagonista di un racconto, nell'immedesimarsi in una vicenda o in un sentimento altrui che pare scritto da noi, si può abbassare questa febbre di sentire. Forse.