giovedì 22 dicembre 2011

Ogni sogno è una preghiera.

Alla fine, la strada di ciascuno è la strada di tutti.

Non ci sono viaggi isolati perché non ci sono viandanti isolati. 
Tutti gli uomini sono uno e non vi è un'altra storia da raccontare. 
(Cormac Mc Carthy)

giovedì 15 dicembre 2011

Sto scoprendo Schubert e i limiti che chiunque non faccia o non abbia fatto il conservatorio seriamente mai potrà superare.
Dietro lo spartito c'è un mondo affascinante e irraggiungibile, destinato agli eletti, anzi, a quelli che, tra gli eletti, hanno davvero una marcia in più.
Gli altri, anche se non tutti, possono solo intuire.
E avere il sentore dell'augusto demone che nasce nel cuore e si rivela e diffonde nel tocco è già una conquista.

lunedì 12 dicembre 2011

L'ultima onda

Un uomo stava lì nel suo sonno pesante,
un ronzìo d'api lo cullava,
un vento scalpitante nitriva alla finestra,
tra foglie e fogli galoppava

La mano di una donna, sfiorando la sua spalla
discretamente lo svegliava,
era un sogno davvero, era davvero bella
mentre negli occhi lo guardava

E adesso stava lì accanto alla ragazza
montando il vento a briglia sciolta,
ma che razza di uomo, ma che uomo di razza,
che cavaliere di una volta

I gabbiani lanciano coltelli al sole che sprofonda
lentamente in mare, fino all'indaco dell'ultima onda,
lui che tutto questo ancora non lo aveva visto
stava sulla spiaggia a naso in su vicino a lei

Seduta sulla luna soffiava ad una ad una
tutte le stelle su di lui;
ridevano di tutto, fino a tirar mattina,
dimenticando i tempi bui

Il pavimento e il tetto eran la terra e il cielo
e le stagioni l'orologio,
niente faceva male, l'inverno era gentile,
fioccava neve adagio adagio

E' meglio aver paura che non aver coraggio,
chissà se un giorno imparerai
a riconoscermi, a chiedermi un passaggio
e in quali trappole cadrai

I gabbiani lanciano coltelli al sole che sprofonda
lentamente in mare, fino all'indaco dell'ultima onda,
lui che tutto questo ancora non lo aveva visto
stava sulla spiaggia a naso in su vicino a lei

Forse fra mille anni cavalcherai ancora
un vento imprevedibile,
sarai un soldato umile, senza fissa dimora,
agile, forte e fragile

Ma io starò al tuo fianco, questa è la mia ragione,
tu sai che fartene di me,
sarò il tuo paio d'ali oppure il tuo bastone,
stammi vicino adesso che…

I gabbiani lanciano coltelli al sole che sprofonda
lentamente in mare, fino all'indaco dell'ultima onda,
lui che tutto questo ancora non lo aveva visto
stava sulla spiaggia a naso in su vicino a lei

Sulutumana

domenica 4 dicembre 2011

Bambino,
se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.

Alda Merini

domenica 20 novembre 2011

Se il sole muore

Il mio mestiere era questo: raccontare e criticare, criticare e raccontare, nient'altro. Una cicala in un mondo di api. Avevo rinunciato a essere un'ape tanti anni fa, quando per la prima volta m'ero messa dinanzi a una macchina da scrivere e m'ero innamorata delle parole che uscivano come gocce, a una a una, poi restavano sul foglio bianco, a una a una, e ogni goccia diceva una cosa che detta a voce sarebbe volata, lì invece si condensava: buona o cattiva che fosse. Era stato come innamorarsi di un uomo mentre ami già un uomo, perder la testa per lui e abbandonare l'altro: ben sapendo che l'altro è un uomo migliore, un uomo più serio, un uomo col quale avresti potuto usar bene la vita.

Oriana Fallaci


giovedì 10 novembre 2011

La scoperta della luna


[...] egli veniva su, su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. 
E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una deliziosa chiarità d'argento. 
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. 
Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. 
Ma la chiaria cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. 
Possibile? Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. 
Il carico gli cadde dalle spalle. 
Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento. 
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. 
Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. 
E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? 
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. 
Eccola, eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna! 
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore. 

Luigi Pirandello - Ciàula scopre la luna


lunedì 7 novembre 2011

Chirurgia B, secondo piano

Entro con l'incedere di un visitatore, anche se so che di lì a poco sarò sdraiata come tutti gli ospiti che, obtorto collo, più o meno sofferenti, popolano le stanze che si affacciano sulla corsia.
In men che non si dica, l'abbigliamento indossato mi spoglia della veste di occasionale spettatore e mi cala nel nuovo contesto.
Ancora incredula di dover davvero affrontare il mio destino imminente, mi siedo sulle bianche lenzuola e attendo impaziente che mi vengano a prendere.
La mia vicina viene rapita da una barella verde, spinta da una donna vestita di verde che mi annuncia che prima del suo ritorno sarò portata via anch'io. 
Divento verde anch'io nel concretizzarsi della prospettiva.
In realtà la mia compagna torna nel volgere di un paio di interminabili ore, ma mi dicono che per un improvviso ed inatteso cambio di programma devo ancora attendere e così, per sfuggire all'ansia, mi abbandono ad un torpore tutt'altro che confortante, con l'orecchio costantemente teso a percepire lo scorrere sul linoleum delle quattro rotelle della lettiga a me destinata.
Eccola di nuovo, arriva sempre tutta vestita di verde, mi consegna il camice, le babbucce e la cuffietta e mi dice di agghindarmi per la sala operatoria.
Con sguardo ammiccante mi suggerisce come salire sulla barella senza ribaltarmi e con mano premurosa mi accarezza la testa quando mi sdraio, mi incoraggia e mi chiede se ho freddo e mi copre con il lenzuolo.
Saluto mia madre e in posizione orizzontale e senza avere una visione nitida degli ambienti che attraverso, percorro il reparto, mi infilo in un ascensore e mi ritrovo nell'anticamera della sala operatoria. Tento di intavolare un discorso con il mio Caronte, ma non so neppure io di cosa in effetti si possa parlare.
Il mio angelo vestito di verde mi racconta di sua figlia, è incredula che io possa avere addirittura qualche anno più di lei, sembro così giovane!, e mi chiede come mi senta e mi rassicura, poi resto da sola una manciata di minuti, che non saprei quantificare esattamente.
Nel tentativo goffo di decifrare senza occhiali i contorni degli oggetti strani riposti negli armadi di quell'anticamera, all'insopprimibile ed innata istanza di dare un nome alle cose che vedo si sovrappone l'ossessivo avvicendarsi dei mille pensieri, fino ad allora tenuti a bada, che hanno dato corpo agli interrogativi di tutta la mia vita e che alimentano le incognite anche di questa esperienza.
Conservo immagini annacquate di quegli istanti, il timore accresciuto anche dall'interminabile attesa confonde la percezione sfuocata della realtà, di cui però trattengo nitidamente il ricordo dell'intensità delle tinte.
Una porta azzurra si apre, qualcuno vestito di verde si avvicina a me, legge la mia cartella clinica, che appoggiata sulle mie gambe, sopra il lenzuolo, mi sembra pesante come un macigno, ritorna dentro, preannunciandomi l'imminente apertura delle danze.
Arriva il mio turno, entro nella sala, dalla barella mi spostano su un altro lettino, mi legano le gambe, mi attaccano gli elettrodi per il monitoraggio cardiaco, mi legano il braccio destro ad un tavolinetto e mi spiegano che un po' di tubicini dovranno fare il loro ingresso nelle mie vene.
Lo strumentista mi chiede come mi chiamo e che lavoro faccio, l'anestesista si presenta, mi dicono di non aver mai praticato l'anestesia ad un avvocato, qualcuno dice ironicamente che gli trema la mano al pensiero, a me comincia a tremare tutto, ma cerco di dissimulare abilmente per non trasmettere loro la mia ansia.
Mi inseriscono quello che definiscono un grosso ago che mi avrebbe dovuto fare male, ma non percepisco nulla, ringrazio e sento che mi dicono che ci siamo e poco a poco, nel giro davvero di pochi istanti, sento affiorare una sensazione di incapacità di reagire agli stimoli e sprofondo immediatamente in un sognante oblio.

Non ricordo esattamente cosa, ma sono certa di aver sognato. Quando mi hanno richiamato alla realtà ho provato quasi un guizzo di rincrescimento, la mia attività onirica era stata disturbata sul più bello e, considerate le ore successive, decisamente meglio sarebbe stato potersi crogiolare nel torpore.

Sento chiamare il mio nome, da emotiva quale sono, raccolgo tutte le mie forze per dimostrarmi reattiva e pronta ad abbandonare il sonno (chimico) e reagisco, rispondo, apro gli occhi, vedo gente attorno a me, una luce intensa, e tutto verde intorno. Mi stupisco di non avere nausea, mi avevano detto che sarebbe stato normale.
In un baleno, esternata la reazione che tutti si aspettavano, il risveglio, ecco salire precisi e profondi gli spasmi del dolore.
Per un attimo ho il lucido ottimismo di dire a me stessa che poteva andare peggio, perchè quel tipo di dolore, anche se in dose decisamente meno intensa, lo conoscevo già, ma nello stesso tempo non riesco a fare a meno di realizzare che non mi figuravo nemmeno lontanamente che la fase post operatoria potesse essere così.
Mi immaginavo inebetita, presa a lottare con i postumi dell'anestesia, in fase più incosciente che vigile e invece mi sento sì un po' ottenebrata e legata nei movimenti, ma perfettamente cosciente e inequivocabilmente in grado di percepire il dolore.
Altro giro turistico per la corsia e per l'ascensore, arrivo in camera, mi dicono che devo collaborare a trasferirmi dalla barella al letto, collaboro anche se non so come.
Noto con piacere che la parte operata è già vestita, mi chiedono se voglio la canottiera sotto il pigiama, annuisco e, una volta sdraiata nel letto comincio a rabbrividire.
Apro gli occhi sulla mia testa pende una boccia di vetro, seguo il tubicino, lo vedo entrare nel mio braccio.
Si avvicinano i miei, tengo gli occhi chiusi, mio padre mi chiama come mi soprannominava da piccola, percepisco chiaramente il loro calore e la vicinanza, mi sforzo di sorridere, ma temo che mi esca soltanto una smorfia, trovo la forza di dire che ho freddo, mi recuperano una coperta supplementare e mia madre mi infila provvidenzialmente i calzini sui piedi assiderati.
Passano i minuti, perdo la percezione del tempo, ma fuori avverto che si sta facendo buio, dico a mia mamma che ho tanto dolore, trovo il coraggio di chiedere un antidolorifico, andando con la mente al contenuto del foglio che mi avevano consegnato al momento del ricovero ("il trattamento del dolore post-operatorio"), nel quale ricordo che era raccomandato ai pazienti di segnalare la presenza del dolore e di specificarne l'intensità, assegnando un valore compreso tra 1 e 10 in un'ipotetica scala.
Arriva un'infermiera, non mi chiede nulla circa il collocamento del mio dolore sull'ipotetica scala, dice solo che per somministrare un antidolorifico serve il parere dell'anestesista, mi spiega che è ancora in sala operatoria, mi chiede di aspettare che si liberi.
Stringo i denti, comprendo di non avere alternative.
Dopo un'attesa che percepisco come interminabile, sento una voce maschile che si presenta, mi dice di essere l'anestesista di turno, mi dice che non possono darmi nulla, perchè mi sono già stati somministrati antidolorifici durante l'intervento e un ulteriore dose costituirebbe un eccessivo sovraccarico per i reni e per il fegato. Mi dice di attendere fiduciosa che si saturino i centri di ricezione del dolore; annuisco, non ho la forza per fare altre domande, fingo a me stessa di credergli e di essere convinta che i centri di ricezione del dolore si possano saturare e mi interrogo sulla nozione labile e dannatamente soggettiva del trascorrere del tempo.
Mi dice desolato che la prossima volta che mi dovessi sottoporre ad intervento chirurgico è meglio che specifichi che mi diano la morfina e che allo stato posso solo aspirare ad una sacca di tachipirina in vena, se lo desidero; annuisco ancora una volta e spero che sia una tanica.
Apro gli occhi, ora sulla mia testa pende una boccia di vetro e una sacca di plastica trasparente, i tubicini che entrano nel braccio sono due.
Credevo che le flebo fossero fastidiose, giuro a me stessa che non mi lamenterò mai più per un ago, tanto più che ancora una volta le mie vene hanno ricevuto i complimenti per la loro facile individuabilità e per la resistenza alle ripetute sforacchiature.
Vengono più volte a misurare la pressione, percepisco un dato non confortante per la mia esperienza di ipotesa cronica, qualcuno che dice che va bene, non ho la forza per pormi il problema, penso alla mia pancia e mi incupisco sui miei spasmi.
Il dolore non accenna a diminuire, continua a pulsare, arriva la sera, le luci si accendono lungo la corsia ed anche in camera.
Arriva qualcuno a chiedermi se l'indomani intendo fare la Comunione quando passa il Sacerdote, annuisco ancora una volta e non posso fare a meno di chiedermi come avrò passato la notte.
Mia mamma continua a vegliare su di me, si è allontanata soltanto un momento, lasciandomi con un amico di famiglia, una sorta di zio acquisito che è venuto a trovarmi e che si è seduto accanto a me con pazienza e premura.
Passano a somministrarci la puntura anticoagulante, porgo l'altro braccio, approfittano per misurarmi di nuovo la pressione e la percentuale di ossigeno nel sangue, poi mostro l'orecchio per la rilevazione della temperatura con l'apparecchio digitale. 
Ritorna anche mio padre, saranno le 8 di sera e comincio ad avere un maggior dominio sul mio corpo, mi sento in grado di parlare e di sostenere una conversazione che contempli anche parole diverse da sì e no.
Sento che i famosi recettori del dolore forse si stanno cominciando a saturare, ma aspetto a parlare per scaramanzia.
Dopo un po' mi azzardo a riferirlo ai presenti, dico sottovoce che forse il dolore comincia a diventare sopportabile.
Rincuorati dall'annuncio, i miei decidono di andare a mangiare qualcosa e mi assicurano che torneranno subito dopo per avere conferma dell'effettiva diminuzione del dolore.
Riesco ad accendere il telefono, trovo un paio di chiamate perse, richiamo un'amica che mi aveva cercato, le racconto sommariamente l'avventura, sperando nel sonno ristoratore.
Rinvigorita dalla diminuzione del dolore, mi interesso della salute di Lucia, la mia vicina di letto, chiacchieriamo un po'. A lei hanno somministrato morfina durante l'intervento, è molto più vispa di me.
Un'ora dopo tornano i miei, si accorgono di una anomalia al catetere, avvisano preoccupati che la mia funzionalità renale possa essere in difficoltà.
Arriva l'infermiera, si scopre che il tubicino è piegato, ripristina il corretto allineamento e per sicurezza mi fa un'ecografia alla vescica per controllare che sia tutto a posto.
Confortata dal fatto che il dolore è diventato sopportabile, sarei stata disposta a concentrarmi su eventuali complicazioni renali (naturalmente transitorie), purchè il dolore fosse scongiurato.
Congedo i miei e prego perchè la notte voli.

La notte vola, più o meno, sia per me sia per Lucia, tra un cambio di boccia e l'altro, una misurazione della temperatura e un'ispezione alla sacca del catetere.
Nell'esperienza del dolore, la riscoperta della solidarietà e della compassione, verso gli altri ma anche verso se stessi.





martedì 1 novembre 2011

L'esperienza del dolore

Serve il dolore fisico per riscoprire quanto sia bella la normalità.
Spero che l'annacquarsi del ricordo non sfumi la consapevolezza raggiunta.
Non mi auguro di rinnovare l'esperienza fisica, ma anche questa, a volte, è necessaria.
Ogni crescita, infatti, passa per il dolore, ogni trasformazione lo presuppone, ogni vittoria su se stessi lo contempla, ed esso costituisce l'indispensabile viatico per uscire dal torpore della mente, che tamquam dormitat, anche se - e soprattutto - gli occhi ci vedono benissimo (pur con gli occhiali) e, anestetizzati dalla razionalità, non colgono il senso più vero delle cose che all'esasperato elucubrare sfugge.

mercoledì 26 ottobre 2011

E' amara la sensazione di dispiacere provocata dalla gente che non si comporta come ci si aspetterebbe, ma è inspiegabile quanto lo stupito piacere di chi ci sa sorprendere quando mai ce lo aspetteremmo.

sabato 22 ottobre 2011

"L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine"
Giobbe 14,1

venerdì 21 ottobre 2011

Fantasia

La fantasia abbellisce gli oggetti cingendoli e quasi irraggiandoli d'immagini care.
Nell'oggetto amiamo quel che vi mettiamo di noi.

Luigi Pirandello

Un cane sciolto


Il mio sguardo non si abbassa mai,
quando sa di aver ragione,
mette in gioco la sua libertà
senza padrone,
rischia sempre qualche cosa in più,
si ferisce, ma non cade giù,
perchè è dura da sconfiggere
la verità,
e il mio sguardo mi accompagnerà,
dove l'anima è spogliata,
prende fiato per un attimo,
e poi dilaga,
fa vibrare la coscienza chiusa in me,
trasformandosi in un cane sciolto che
mostra i denti per difendersi da chi gli vuole fare male,
ma... la sua strada seguirà,
e non si sentirà mai stanco,
di dire tutto quello che gli brucia dentro,
e lui, lui per questo resterà,
un uomo solo, un cane sciolto,
ma col suo orgoglio che non lo ha tradito, mai.
Ma il respiro della libertà,
tante volte fa paura,
come il lato indefinibile
di un'avventura,

tutto questo un cane sciolto lo sa già,
perchè vive dell'istinto che lui ha,
e da chi ha le mani sporche
non si lascia mai accarezzare,
ma... la sua strada seguirà,
e non si sentirà mai stanco
di dire tutto quello che gli brucia dentro,
e lui, lui per questo resterà

un uomo solo un cane sciolto,
ma col suo orgoglio che non lo ha tradito,
e... anch'io la mia strada seguirò,
e proprio come un cane sciolto,
avrò rispetto del mio orgoglio,
che non tradirò, perchè non mi ha tradito mai,
perchè non l'ho tradito. 


Franco Fasano

mercoledì 19 ottobre 2011

E' l'amore che conta

Di errori ne ho fatti,
ne porto i lividi,
ma non ci penso più.
Ho preso ed ho perso,
ma guardo avanti, sai,
dove cammini tu.
Di me ti diranno che sono una pazza, 

ma è il prezzo di essere stata sincera.

E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda

Nell'attesa che hai
Nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no

Di tempo ne ho perso,
certe occasioni sai
che non ritornano,
mi fa bene lo stesso
se la mia dignità
è ancora giovane.
Di me ti diranno che non sono ambiziosa, 

è il prezzo di amare senza pretesa...

E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda

Nell'attesa che hai
Nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no

No, no, no, 

no a questo tempo
d'ira e di cemento
No, no, no, no!

E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda

Nell'attesa che hai,

nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no 


Giorgia

martedì 18 ottobre 2011

... quare id faciam, fortasse requiris ...

mercoledì 12 ottobre 2011

Amore e solitudine


"A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro."

domenica 9 ottobre 2011

Chi vive per la verità è proteso verso una forma di conoscenza che si infiamma sempre più di amore per ciò che conosce..
..Fate della vostra vita un capolavoro
Non abbiate paura del futuro, perchè il futuro siete voi!

(Karol Wojtyla) PAPA GIOVANNI PAOLO II

giovedì 6 ottobre 2011

Qualcosa cambierà

A tutti quelli della mia generazione
che sono a un bivio come me
a te che credi in te
a te che suoni nelle strade
a te che il nome non lo so
a te che più non ho
per chi di lacrime ne ha piante
e ha visto ridere sul pianto suo
per tutte quelle facce stanche
che hanno chiesto aiuto a Dio
Qualcosa cambierà è scritto nelle tue mani
se non ti fermerai qualcosa cambierà

Per chi si è perso e chi si incontra ancora
nell'autostrada della vita
per chi non trova uscita
mentre le notti se ne vanno
il fuoco brucia ancora i campi ad est
e a tutti quelli che verranno vorrei poter gridare che

Qualcosa cambierà è scritto nelle tue mani
se non ti fermerai qualcosa cambierà

C'è bisogno di ognuno di noi,
di convincersi che prima o poi

Qualcosa cambierà è scritto nelle tue mani
se non ti fermerai qualcosa cambierà

A quelli come me, a te che credi in te,
per quelli che non hanno, per quelli che verranno
a te che più non ho, a te che non lo so
per chi si incontra ancora, per chi non trova uscita
... vedrai nel corso della vita
... qualcosa cambierà


Massimo di Cataldo 

lunedì 3 ottobre 2011

Leggere e pensare, leggere è pensare.

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare.
Vittorio Alfieri

mercoledì 28 settembre 2011

Legami

Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi.
Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole.
Probabilmente l’incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po' di sé, a scoprire pian piano quel che il cuore cela.
Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute.
O forse accade perchè doveva accadere.
Perché le anime son destinate a trovarsi, prima o poi.

Paulo Coelho

lunedì 26 settembre 2011

Sospiri

A volte succedono cose strane, un incontro, un sospiro, un alito di vento che suggerisce nuove avventure della mente e del cuore.
Il resto arriva da solo, nell’intimità dei misteri del mondo.

Alda Merini

domenica 25 settembre 2011

"Coelum non animum mutant qui trans mare currunt."

Quinto Orazio Flacco, Epistulae I, 11 v.27


mercoledì 14 settembre 2011

Vagavo per i campi del Tennessee 
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

martedì 13 settembre 2011

Pensieri

"Una cosa semplice suscita diecimila pensieri, e da questi diecimila pensieri sbocciano diecimila interassociazioni, e non ho forza di volontà per eliminarli o trattenerli, nè per riunirli in un solo pensiero centrale in cui si perdano i particolari senza importanza ma ad essi associati.
Passano dentro di me; non sono pensieri miei, ma pensieri che passano attraverso di me.
Non pondero, sogno; non sono ispirato, deliro."
Fernando Pessoa

domenica 11 settembre 2011

11 settembre

11 settembre 2001 - 11 settembre 2011


per non dimenticare


il coraggio della disperazione e la dignità di un popolo che non rinuncia ai suoi valori.

venerdì 9 settembre 2011

Cesure

Brividi e senso di smarrimento ogni volta che mi disilludo e scopro che dietro l'apparenza non c'è niente, nonostante la ragione e il sesto senso mi avessero già avvertito da tempo.
Vorrei scacciare da me quel senso di inadeguatezza, quasi che vi fosse una colpa dentro, anzichè una mera rivelazione fuori.
Forse ciò che fa più male non è realizzare di essersi sbagliati e scontrarsi con la conferma fattuale, ma constatare quel rifiuto solo sospettato ed intuito che si appalesa chiaramente e il rammarico consiste nel non essersi saputi spiegare, anche quando vi è la prova provata che non potevi essere capito.
Alla liberazione che accompagna la recisione di un tralcio morto, si sovrappone l'insofferenza per la vacuità della maggior parte dei rapporti umani.
E questa evanescenza riempie la maggior parte dei giorni e permea linguaggi di superficie che non sanno affondare le radici al di sotto della coltre di cenere che ricopre quel che resta della brace o forse sono proprio queste metafisiche dell'apparenza a far illudere che sotto esista davvero un cuore pulsante.

mercoledì 7 settembre 2011

Notti di fine estate

Taglio di luna velato da nubi dai contorni irregolari, aria frizzante, notti di prime coperte sopra le lenzuola, notti di una tarda estate oramai determinata a cedere il passo ad un autunno incipiente, notti che stentano a lasciare il posto ai progetti di serate accoccolati davanti al camino con il cartoccio di caldarroste in grembo, perchè il sogno di quelle trascorse a passeggiare sulla battigia sono ancora troppo vive e vivide.

Notti ancora troppo estive per il calendario e per il cuore per rassegnarsi a rannicchiarsi alla ricerca di tepore, notti di fotografie agostane negli occhi e di occhi non ancora pronti al buio di quella stagione che fa da preludio all'inverno.

Notti in cui combatti con i pensieri e con le rinnovate preoccupazioni del lavoro e ti sembra impossibile credere che soltanto pochi giorni fa eri altrove e ti sentivi altrove, in un altrove che ti sembra ancora una trasposizione dell'adesso, se non fosse per il contorno, che è completamente diverso e cela con la nebbia della realtà un sentire dissociato dall'hic et nunc.

Notti di lotta dura con il sonno, quel sonno che poco tempo fa ti accoglieva sfinito e felice e che ora ti seduce con il peso della giornata e di prospettive tutte in salita e, almeno apparentemente, di una lunghezza snervante. Cerchi di posticipare il contatto con il cuscino e il raggiungimento dell'orizzontalità che trapassa all'oblio per suggere le ultime gocce di un'estate talmente strana da essere troppo vera, cucita addosso da quel Destino che così raramente ti regala sorprese così catartiche e determinanti, bagliori di nuovi inizi che ti esplodono addosso come improvvisi fuochi di Sant'Elmo, destinati a restare impressi come un sigillo sulla pelle.

Resti immobile in una fase di inebriato sbalordimento, trasognato ti accorgi che stai sorridendo, inseguendo e rivivendo attimi, istanti, abbracciando persone e luoghi, quasi che solo la partecipazione completa di cuore e mente al ricordo lo possa rendere più attuale e, di nuovo, un'altra volta, soltanto tuo, per sempre.

Dov'è la realtà? dove il fantasma?

Costruire castelli di carta e, quando il vento soffia, scoprire che non hanno fondamenta.
Vivere in torri d'avorio, in rocche scolpite nella roccia millenaria, destinata a resistere alle stagioni e alle intemperie e non trovarci dentro nulla di famigliare e rassicurante.
L'eterna lotta tra la realtà e il sogno, o peggio, l'eterna schermaglia tra le mille verità percepite da occhi sempre autentici ma interpretate da cervelli diversamente cogitanti.

"A chi credere dei due? Chi è il pazzo? Dov’è la realtà? dove il fantasma?"
(Luigi Pirandello, La signora Frola e il signor Ponza)

Ma se la realtà non sta matematicamente nel mezzo, quale metro di giudizio ci resta?
Quale bussola nel mare della vita?
E, soprattutto, perchè esiste quell'innata tensione verso l'assoluto, se non ci è dato di discernerlo?
Sulle alte cime, dove l'aria pura ci rende quasi perfetti o nella melodia che diventita battito del cuore, o nell'occhio che diventa protagonista di un racconto, nell'immedesimarsi in una vicenda o in un sentimento altrui che pare scritto da noi, si può abbassare questa febbre di sentire. Forse.

martedì 6 settembre 2011

Il dolore

Ci sono momenti in cui annusi il dolore e te ne scosti disgustato.
Ci sono volte in cui lo percepisci nell'anima ed anche nel corpo e ti fa male, ogni volta come se fosse la prima volta.
Ce ne sono altre in cui non puoi fare a meno di rotolartici dentro, con compiacimento, non per masochismo, ma per l'indifferibile necessità di conoscere la vita attraverso la sofferenza, la propria sofferenza, quella che affiora dalla pelle e rimbomba nelle orecchie.
Altre volte il dolore è percepito con distacco, e lo avverti come calore di fiamma lontana, ma sono istanti che durano poco e che a poco servono.
Il dolore va abbracciato, solo quando la sua morsa diventa la nostra stretta è possibile intuire come superarlo, anche se non lo si può quasi mai sconfiggere del tutto.
Dolore come metodo di conoscenza, paradigma di crescita, necessario e vitale viatico.

domenica 4 settembre 2011

La pianta del tè (e sono 33)

Come cambia le cose
la luce della luna
come cambia i colori qui
la luce della luna
come ci rende solitari e ci tocca
come ci impastano la bocca
queste piste di polvere
per vent'anni o per cento
e come cambia poco una sola voce
nel coro del vento
ci si inginocchia su questo
sagrato immenso
dell'altipiano barocco d'oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente.

E non è rosa che cerchiamo non è rosa
e non è rosa o denaro, non è rosa
e non è amore o fortuna
non è amore
che la fortuna è appesa al cielo
e non è amore

Chi si guarda nel cuore
sa bene quello che vuole
e prende quello che c'è

Ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
la pianta del tè.

Ivano Fossati

sabato 3 settembre 2011

Le mani nella sabbia

Lo guardo con occhi trasognati, lo appoggio sul tavolo e ci giro intorno per osservarlo da ogni angolazione, quasi che solo così potessi avere la certezza di rivivere tutto, senza tralasciare nulla; leggo il monito scritto a caratteri neri sulla stoffa viola e mi voglio convincere che basti ripeterlo dentro di me per ottenere l'effetto taumaturgico invocato. Mi sento stregata da quel sacchetto, vorrei aprirlo, guardare dentro e prendere la sabbia tra le mani, affondare le dita e scavare, ma resisto alla tentazione, perchè temo che toccarne anche solo un granello alteri la perfezione dei momenti vissuti anche nel mio ricordo.
Con devozione quasi pagana, contemplo il mio sacchetto e neppure sfioro il laccio, quasi che sfilarne i capi provochi la dispersione di ogni attimo, esponendolo all'oblio.
Lo annuso, cerco di sentire il mare attraverso la stoffa e di risentire con le orecchie le parole sussurrate e gridate, ma anche di ascoltare quelle non dette ma espresse con le mani, lo sguardo e il cuore e di trovare così nuove interpretazioni della vita e nuovi punti di vista sulla realtà.
I granelli di sabbia sono per definizione infiniti, non basterebbe la mia capacità di contare per enumerare ogni sensazione, traboccata dentro alla fine di un percorso in perenne divenire e affiorata grazie a preziosi quanto insperati incontri.
La consistenza del sacco mi fa capire il peso di certi istanti, talmente veri da scavare un solco così profondo da non poter non essere indelebile.
La superficie è dura, se cerco di spingere un dito sulla stoffa a mala pena ne resta un'impronta, così come inscalfibili restano certe esperienze.
Lo colloco con cura in un punto della stanza ben visibile da ogni zona della mia casa: devo poterlo ritrovare ad ogni rigurgito di nostalgia, per sapere che è finito il tempo di spalare le macerie e che è iniziato quello di rimboccarsi le maniche per scavare nuove fondamenta.
La certezza che qualcosa è cambiato non mi spaventa, mi affascina, ma mi lascia sgomenta quando temo di non saper trovare le risorse per il nuovo inizio.
Ho il terrore di vanificare il lavoro di ricerca, che mi è costato sudore e fatica e molto, moltissimo tempo e un dolore incommensurabile e di sprecare l'eccezionalità della scoperta quasi fortuita e improvvisa, sicuramente perfetta nella sua epifania.
Guardo fuori dall'abbaino, questa volta niente luna, il diluvio universale ha appena finito di sfogarsi ed io invoco, ancora una volta, la mia quiete dopo la tempesta.

Ritorno

Dalla cornice dell'abbaino parlo a quello spicchio di luna che, mentre impallidisce il mio volto, illumina anche il mio mare a chilometri di distanza.
Ascolto "Talking to the moon" di Bruno Mars come un canone in crescendo, con la stessa intensità dei miei palpiti, e a ripetizione, ubriacata da questo cortocircuito musicale che segue la concitazione dei miei pensieri in inarrestabile elaborazione e mi domando se anche i miei vicini si stiano chiedendo se sono pazza.
Quella canzone è la colonna sonora perfetta di questa malinconia che non so scacciare, felice in qualche modo di farmi travolgere dai suoi spasmi, che solo vivendo posso percepire come una fase dolorosamente necessaria.
Il tempo si srotola e sfugge, passano i minuti, forse le ore, scorrono i pensieri e le emozioni di queste settimane, la consapevolezza del non ritorno e la certezza che qualcosa è cambiato, il rimpianto per ogni istante vissuto davvero.
Avverto chiara la voglia di ricominciare da questa nuova presa di coscienza, ma non riesco a liberarmi dal nostalgico desiderio di rivivere ogni istante.
Un velo di lacrime avvolge il mio cuore, con potenza inversamente proporzionale a quanto i miei occhi non sappiano piangere e mi chiedo se la commozione sia quella suscitata da un tramonto o da una nuova alba.
Aspetto il sonno come una panacea, ma non mi illudo se dico che sarà solo un placebo.
Che fantastica storia è la vita!


giovedì 1 settembre 2011

Partire

Mi chiedo perchè debba passare la vita a rincorrere sogni e rimpiangere occasioni perse o finite troppo presto.
Ogni partenza per un viaggio, per una meta nota o meno, è accompagnata da un mal di pancia irrazionale, figlio diretto della paura di tutto ciò che è nuovo, e poi, ogni nuova esperienza, prima di sublimarsi nella dolcezza del ricordo, passa ostinatamente peri cocci aguzzi della nostalgia.
Ogni volta è così e ogni volta, nonostante sappia che per me è fisiologico, ci ricasco.
I bagagli mi mettono a disagio, cerco di non guardarli, ci metto dentro tante speranze e tanti ricordi, che solo con il tempo elaboro e comprendo che saranno parte di me per sempre, ma non riesco a perdere la dolorosa abitudine di evitarne il contatto, quasi che dentro di loro si chiudesse una fase della vita per sempre.
In effetti è così, ma se non avessero fine, tutte le esperienze non diventerebbero ricordi e se non si passa per il ricordo non si può dire di aver vissuto.
Non posso non chiedermi perchè le persone che incontro e che diventano davvero importanti per me non possano essere quelle che frequento ogni giorno, tutto l'anno.
Non cedo alla seduzione del principio di autoconservazione e di protezione dai sentimenti, nel bene e nel male, che mi vorrebbe far credere che quelle persone mi colpiscono proprio perchè so che sono destinate a restare meteore nel cielo della mia esistenza: non può essere così, altrimenti non continuerei a sentirle e a cercarle e non continuerebbero a rappresentare incontri importanti della mia vita.
Quando ne provo la certezza, oramai sono abbastanza grande da capire che non mi sbaglio.
Al dolore della valigia e di tutto ciò che rappresenta, si aggiunge quello del distacco; i chilometri mi appaiono insuperabili e non riesco ad accettare la razionale consolazione che il sentimento sopravvive e supera la distanza. In più c'è la lacerazione del tempo: troppe settimane, se non mesi, separano preziosi incontri che la tecnologia, la penna o il suono della voce attraverso un ponte radio non possono compensare.
Ci si abitua al dolore e il tempo lo lenisce, ma non sono capace di affrontare l'immediato: i saluti sono pugnalate, andare per l'ultima volta in un posto nel quale non tornerò per chissà quanto mi distrugge.
Diventano tappe quasi feticistiche, ci metto l'anima ogni volta che mi soffermo per l'ultima volta su uno sguardo o in un luogo, impiegando un tempo insopportabile nel compiere questo doloroso e inevitabile rito.
Come in pellegrinaggio, saluto persone e posti e mi metto al collo una collana fatta di grani diversi e tutti speciali che mi sento in qualche modo cuciti addosso, senza però poterli continuare a toccare, rassicurando le mie dita.
Come posso sopportare i giorni prima della partenza e quelli subito dopo il rientro?
Come posso alterare questo lacerante e inevitabile divenire che fa parte della vita?
Perchè tutto scorre e le mie dita non riescono a trattenere qui ed ora tutta l'essenza di ogni attimo vissuto con l'anima?

mercoledì 31 agosto 2011

Talking to the moon

I know you're somewhere out there
Somewhere far away
I want you back
I want you back
My neighbours think
I'm crazy
But they don't understand
You're all I have
You're all I have

[Chorus:]
At night when the stars
light on my room
I sit by myself
Talking to the Moon
Try to get to You
It holds you on
the other side
Talking to me too
Oh Am I an owl
who sits alone
Talking to the moon

I'm feeling like
I'm famous
The talk of the town
They say
I've gone mad
Yeah
I've gone mad
But they don't know
what I know
Cause when the
sun goes down
someone's talking back
Yeah
They're talking back

At night when the stars
light on my room
I sit by myself
Talking to the Moon
Try to get to You
It holds you on
the other side
Talking to me too
Oh Am I an owl
who sits alone
Talking to the moon

Ahh...Ahh...Ahh..
Do you ever hear me calling
(Ahh...Ahh..Ahh..)
Ho Hou Ho ho Hou

'Cause every night
I'm Talking to the Moon

Still try to get to You
It holds you on
the other side
Talking to me too
Oh Am I an owl
who sits alone
Talking to the moon

Ohoooo...

I know you're somewhere out there
Somewhere far away

Bruno Mars

sabato 20 agosto 2011

Don't try so hard

If you're searching out for something
Don't try so hard
I you're feeling kind of nothing
Don't try so hard
When your problems seem like mountains
Feel the need to find some answers
You can leave it for another day
Don't try so hard

But if you fall and take a tumble
It won't be far
If you fail you mustn't grumble
Thank your lucky stars
Just savour every mouthful
And treasure every moment
When the storms are raging round you
Stay right where you are
Oooh don't try so hard
Oooh don't take it all to heart
It's only fools they make these rules
Don't try so hard

One day you'll be a Sergeant Major
Oh you'll be so proud
Screaming out your bloody orders
Hey but not too loud
Polish all your shiny buttons
Dressed as lamb instead of mutton
But you never had to try
To stand out from the crowd

Oh what a beautiful world
Is this the life for me
Oh what a beautiful world
It's the simple life for me
Oooh

Oh don't try so hard
Oh don't take it all to heart
It's only fools they make these rules
Don't try so hard
Don't try so hard
Don't try so hard

Queen

Dedicata all'amico Ben Braddok

Il popolo della notte

Inattese caldi notti di fine agosto, notti di stelle e cielo terso, notti di musica e di silenzi davanti al mare, notti che pian piano, con l'avvicinarsi dell'aurora recuperano quell'aurea misteriosa e profonda che gli svaghi e forse anche gli eccessi delle ore piccole vogliono negare a quel buio tanto caro a chi vuole regalare i pensieri più reconditi solo alla notte e agli occhi che ne scrutano i movimenti più nascosti, quelli delle mani, celati dall'assenza di luce, e quelli degli sguardi, accesi dai riverberi più lievi.
Sono queste le notti che illuminano dentro più di qualsiasi sole accecante, che rendono insopprimibile l'esigenza di rivelarsi, di comunicare, di accendere nel buio la fiamma della riflessione vera, quella alimentata dalla voglia di capire e di capirsi, quella che rende palese ciò che si vorrebbe negare, nascondere, forse cancellare o semplicemente saper dimenticare.
Sono notti di non ritorno, notti in cui qualcosa cambia, per sempre, notti in cui ti senti dannatamente umano e incredibilmente meno solo.
Un fascio di luce, proiettato nel buio, appena confuso dalle stelle, rivela solo ciò che sta dritto nel cono acceso nell'oscurità e incoraggia la speculazione mirata, senza orpelli, senza veli e senza distrazioni proprio su ciò che illumina.
Ed è incredibile come qulla luce colpisca e affondi proprio l'essenziale.
Sono notti strane, notti che mai avresti pensato che si sarebbero srotolate in quel modo così spontaneo, così vero, così capace di cambiarti la vita; notti che affronti senza sapere e neppure riuscire a immaginare quanto sarebbero state lunghe e ti accorgi poi di quanto invece siano state maledettamente troppo brevi.
Sono notti mandate dal Caso che si rivelano imprescindibili gradini della scala della vita, notti di cui capisci dopo che non avresti potuto farne a meno ma che se non fossero state ispirate proprio dal Destino mai avresti potuto progettarne nè lo svolgimento nè la riuscita.
Sono notti in cui ogni gesto e ogni parola ti riescono sconcentartemente spontanei e comprendi nell'attimo esatto in cui si compiono che sono perfetti e che, del resto, non potevano accadere se non come effettivamente si sono avverati.
Notti in cui non devi neppure lottare con il sonno, nonostante lo scorrere delle ore che da piccole si fanno via via più grandi, perchè il tempo vola e le parole si sollevano leggere come un balsamo penetrante; senti un alito di vento di vita sfiorarti le mani e asciugarti gli occhi che svelano un'inattesa propensione alla commozione e quando comprendi che quel vento ti sta cambiando la vita, cerchi di stringerlo, fermarlo, fotografarne e catturarne in un'ideale istantanea i contorni e il tocco e ti accorgi che le prime luci dell'alba fanno già capolino sull'orizzonte del mare.
Sono notti autentiche in cui conosci davvero il tuo interlocutore, quello reale e quello ideale che sta dentro di te e che non è nient'altro che la parte migliore di te stesso, quella che una volta tanto cede, si arrende, permette al muro di difesa immaginario che ci costruiamo attorno di crollare senza rimpianti.
Sono notti in cui scopri che un perfetto estraneo sa essere il tuo migliore amico, perchè il buio e il silenzio riescono a fare emergere e comunicare ciò che conta davvero, permettendo una reale conoscenza dell'altro.
L'incontro di due microcosmi, uguali e diversi, che si confrontano e si fondono in un sorriso e in una lacrima.
Notti in cui stringi la mano di chi quasi non conosci e quando il riverbero della luna illumina fugacemente la tua stretta, ti accorgi che non stai porgendo la mano e non ne stai stringendo un'altra, ma stai - con perizia e delicatezza degna di un chirurgo che opera a cuore aperto - accarezzando l'anima di chi ti sta di fronte e gli stai facendo fare la stessa cosa con la tua.

mercoledì 17 agosto 2011

Quelle come me

"Quelle come me sono capaci di grandi amori e grandi collere, grandi litigi, grandi pianti e grandi perdoni.
Quelle come me non tradiscono mai, quelle come me hanno valori che sono incastrati nella testa come se fossero pezzi di un puzzle, dove ogni singolo pezzo ha il suo incastro e lì deve andare.
Niente per loro è sottotono, niente è superficiale o scontato, non le amiche, non la famiglia, non gli amori che hanno voluto, che hanno cercato, e difeso e sopportato.
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive...
Quelle come me donano l'anima, perché un'anima da sola, è come una goccia d'acqua nel deserto."

Alda Merini

martedì 16 agosto 2011

Imparare ad accettare la sofferenza per imparare a vivere.

sabato 6 agosto 2011

Il peso della valigia

Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ti è toccato partire, bambina,
con una piccola valigia di cartone
che hai cominciato a riempire


due foglie di quella radura che non c'era già più
rossetti finti ed un astuccio di gemme
e la valigia ha cominciato a pesare
dovevi ancora partire


e gli occhi han preso il colore del cielo
a furia di guardarlo
e con quegli occhi ciò che vedevi
nessuno può saperlo


e sole pioggia neve tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare
e bocca per baciare


Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ad ogni sosta c'era sempre qualcuno
e quasi sempre tu hai provato a parlare
ma non sentiva nessuno


e ti sei data ti sei presa qualche cosa chissà
ma le parole che ti sono avanzate
sono finite tutte nella valigia
e lì ci sono restate

e le tue gambe andavano sempre
solo sempre più adagio
e le tue braccia reggevano a stento
il peso della valigia


e sole pioggia neve tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare
e bocca per baciare

sole pioggia neve tempesta
sui tuoi capelli su quello che hai visto
e braccia per tenere e fianchi per ballare


Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
ma adesso forse ti puoi riposare
un bagno caldo e qualcosa di fresco
da bere e da mangiare

ti apro io la valigia mentre tu resti lì
e piano piano ti faccio vedere:
c'erano solo quattro farfalle
un po' più dure a morire


e sole pioggia neve tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare
e bocca per baciare

sole pioggia neve tempesta
sui tuoi capelli su quello che hai visto
e braccia per tenere e fianchi per ballare

Ligabue

sabato 23 luglio 2011

Fragilità

Ci sono sere in cui mi ritrovo a fare i conti con me stessa.

Non sono bilanci di vita, sono trabocchetti della ragione in cui il cuore cade senza paracadute.
A volte il tonfo fa male, però scuote.
Se si trova la forza per rialzarsi, si va avanti con più motivazione.

Ma che ne è dell'anima se resta frantumata in una tundra di cristallo che ne intrappola ogni slancio?
Allora sì che viene automatico fare i conti con il proprio passato.
Quisque faber...
Un rigurgito di orgoglio scaccia il pensiero che furtivamente si intrufola e si fa strada tra le elucubrazioni.
Quisque faber...
Sovvengono a cascata malumori, illusioni, memorie di sconfitte e sconforto.
Di nuovo una voce intona l'antica cantilena...
...Quisque faber...
E di nuovo la scaccio, accompagnando lo sforzo con il gesto delle mani, quasi a conferire più effetto al tentativo.
M'impongo di finire la frase
Quisque faber fortunae suae

Forse fa più male così, ma è l'estremo tentativo di apprezzarne la portata scioccante.
Mi sorprendo a fissare il vuoto; dentro, invece, è tutto pieno: un delirio di pensieri talmente vorticosi da perdere la testa.
Chiudo gli occhi, domani è un altro giorno, forse domani saprò rendere buono l'oggi e saprò costruire la mia sorte con maggior consapevolezza.

lunedì 18 luglio 2011

La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.

Arthur Schopenhauer

martedì 5 luglio 2011

Outer Space

I still don’t know what I’m looking at
'Cause I’ve never seen anything like this before
I have a friend who's an astronomer
And he says he cannot help me
'Cause he doesn’t have a clue

I think that you must be from outer space
Maybe from somewhere beyond the stars
I think you must be extraterrestrial
'cause you can open up the heavens for me
With just one smile
Just one smile
Just one smile

What is that sound coming out of your mouth
'Cause I’ve never heard anything like that before
It sounds like a language from an other galaxy
I want to thank you because you opened the door

I think that you must be from outer space
Maybe from somewhere beyond the stars
I think you must be extraterrestrial
'Cause you can open up the heavens for me
With just one smile
Just one smile
Just one smile


John Grant

domenica 3 luglio 2011

Nel cuore del mondo

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.

Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c'è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c'è un'altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.

Non lasciare che si arruginisca il ferro che c'è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!

Madre Teresa di Calcutta

venerdì 24 giugno 2011

Non si può trasformare il buio in luce... e l'apatia in movimento senza emozione.

C. G. Jung

giovedì 16 giugno 2011

Parola e scrittura

La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso, perché la si vede uscire dalle labbra, e le labbra piacciono e gli occhi seducono.
Ma le parole nere sulla carta bianca sono l'anima messa a nudo.

Guy de Maupassant

lunedì 13 giugno 2011

L'urlo graffia, il sussurro morde, il silenzio scava.

‎Paola Melone

mercoledì 8 giugno 2011

L'infinito

Il vero è l’intiero. Ma l’intiero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenir-se-stesso.

Hegel - Fenomenologia dello spirito

venerdì 3 giugno 2011

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Gabriele D'Annunzio

martedì 31 maggio 2011

Il vero carattere di un uomo si riconosce in ciò che lo diverte.

Joshua Reynolds

martedì 3 maggio 2011

La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente.

La sofferenza è una specie di bisogno dell'organismo di prendere coscienza di uno stato nuovo.

L´amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore.

Se sognare un poco è pericoloso, la sua cura non è sognare meno ma sognare di più, sognare tutto il tempo.

Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia.

Marcel Proust

sabato 30 aprile 2011

Ricerca

Un cuore che cerca sente che gli manca qualcosa, ma solo il cuore che ha perduto sa cosa gli manca.

Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive

giovedì 28 aprile 2011

My hands, they were strong, but my knees were far too weak...

mercoledì 27 aprile 2011

Padre nostro

Quando sei venuto giù
Questo mondo non capì
Ti coprirono di spine
In un lontano venerdì

Molti risero di te
E di chi ti accompagnò
Ma il potere di ogni Re
La tua parola cancellò

Tra l’amore e la pietà
Questa certa verità
È rimasta dentro l’anima con noi

Ora guardaci, se puoi
E ricordati di noi

Dove sei stanotte Tu
Se la gente adesso va
In un mare non più blu
Per elemosine in città

Dove sei adesso Tu
Se nel buio di una via
C’è chi vende e c’è chi compra
Il niente che ti porta via

Devi dirci dove sei
Perché vivere vorrei
Quanto male si è fermato adesso qui
Dove sei finito?

Mentre qui combattono
Mentre tutti scappano
Mentre qui calpestano
La dignità degli uomini
Tu dicci come vivere

Dove sei stanotte che
queste lunghe malattie
han lasciato cicatrici
grandi come quelle Tue

Dove sei ritorna qui
perché il debole non sia
una vittima lasciata sola
al freddo per la via

devi dirci dove sei
perché dirTelo vorrei
che la vita non è facile per noi
come siamo soli

Mentre qui combattono
Mentre tutti scappano
Mentre qui calpestano
La dignità degli uomini
Tu dicci cosa scegliere

Dove sei stanotte io Ti cercherò
(dove sei)
dove sei se non ci sei io non ci sto

dove sei adesso Tu,
dove sei stanotte Tu,
dove sei che questa luce adesso
non ritorna più

devi dirci dove sei
perché vivere vorrei
e la vita non è facile per noi
siamo tutti soli

mentre qui combattono
mentre tutti scappano
mentre qui calpestano
la dignità degli uomini

dove sei adesso Tu,
dove sei stanotte Tu,
dove sei che questa luce
deve accendere
e non spegnere mai più

dove sei adesso Tu
(dove sei)

O.r.o.

martedì 26 aprile 2011

Preciuos

Precious and fragile things
Need special handling
My God what have we done to you
We always tried to share
The tenderest of care
Now look what we have put you through

Things get damaged
Things get broken
I thought we'd manage
But words left unspoken
Left us so brittle
There was so little left to give

Angels with silver wings
Shouldn't know suffering
I wish I could take the pain for you
If God has a master plan
That only He understands
I hope it's your eyes He's seeing through

Things get damaged
Things get broken
I thought we'd manage
But words left unspoken
Left us so brittle
There was so little left to give

I pray you learn to trust
Have faith in both of us
And keep room in your hearts for two

Things get damaged
Things get broken
I thought we'd manage
But words left unspoken
Left us so brittle
There was so little left to give

Depeche Mode

Thank U

How 'bout getting off these antibiotics
How 'bout stopping eating when I'm full up
How 'bout them transparent dangling carrots
How 'bout that ever elusive kudo

Thank you india
Thank you terror
Thank you disillusionment
Thank you frailty
Thank you consequence
Thank you thank you silence

How 'bout me not blaming you for everything
How 'bout me enjoying the moment for once
How 'bout how good it feels to finally forgive you
How 'bout grieving it all one at a time

Thank you india
Thank you terror
Thank you disillusionment
Thank you frailty
Thank you consequence
Thank you thank you silence

The moment I let go of it was the moment
I got more than I could handle
The moment I jumped off of it
Was the moment I touched down

How 'bout no longer being masochistic
How 'bout remembering your divinity
How 'bout unabashedly bawling your eyes out
How 'bout not equating death with stopping

Thank you india
Thank you providence
Thank you disillusionment
Thank you nothingness
Thank you clarity
Thank you thank you silence

Yeah yeah
Ahh ohhh
Ahhh ho oh
Ahhh ho ohhhhhh
Yeaahhhh yeahh

Alanis Morisette
Le cose più importanti come sempre noi le diciamo senza voce...
basta guardarsi dietro il vetro di un perdono o sotto un battito di luce e il pianto vero non ha lacrime, né spettatori né rifugio, ci siamo persi in un bicchiere e ritrovati in un naufragio.

F. Dostoievskji

mercoledì 6 aprile 2011

I pazzi... gente con una visione lucida della vita

La più grande lezione nella vita è sapere che anche i pazzi alle volte hanno ragione.

Winston Churchill
Pubblica post

O notte

Dall'ampia ansia dell'alba
Svelata alberatura.

Dolorosi risvegli.

Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.

Autunni,
Moribonde dolcezze.

O gioventù,
Passata è appena l'ora del distacco.

Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.

E già sono deserto.

Preso in questa curva malinconia.

Ma la notte sperde le lontananze.

Oceanici silenzi,
Astrali nidi d'illusione,

O notte.

Giuseppe Ungaretti

lunedì 28 marzo 2011

Vorrei...

Vorrei avere in me la forza di un sorriso, capace di distendere ogni tensione, capace di rinfrancare il corpo e confortare lo spirito.
Come una diga che crolla, innondare di luce ogni giorno, sprazzi di gioia spruzzati in un bacino che non sa contenerlo, per la veemenza e l'irruenza di uno sguardo profondo e vivo.
Sono stanca di cadere e di rialzarmi, stanca di lottare contro tutto, ogni passione mi scorre tra le dita come sabbia e quando stringo le dita in un pugno, non trovo più nulla e posso palpare solo la pochezza e la solitudine di una speranza disillusa.
Distendo le dita e trovo solo il ricordo di quello che mi ha animato e la cocenta delusione della sconfitta e di tutto quello che mi è costato arrivare fino a qui, senza però avere nulla da raccontare. Solo la pelle più ruvida e qualche graffio.
Mi accorgo di quanto solo distrattamente avevo intuito, soffocando sul nascere quella triste consapevolezza: ho gettato solide fondamenta, quando avevo la forza per farlo e per costruire concretamente la mia vita e quando la speranza più viva non si era ancora trasformata in illusione e poi in amara disillusione, ma ho lasciato che su quelle fondamenta crescessero dapprima sterpi e vegetazione spontanea ed incolta e poi ho permesso al dubbio di insinuare crepe tali da far scaturire e poi nutrire pian piano il dubbio dell'effetiva fattibilità di elevare quell'edificio.
Sono qui meno padrona della mia vita di quanto dovrebbe essere, più in balia delle pieghe oscure dei miei pensieri o pseudo tali che artefice del mio futuro.
Annientata nella mente e annichilita nel corpo da mille fastidi che non sono altro che rappresentazioni concrete di un disagio che anche questa primavera appare di nuovo puntuale all'appello.
Mille lune arrovellerò, mille pensieri inseguirò, e a nulla mi porteranno le elucubrazioni di sempre.
Prendo spunto dalle filosofie orientali dei vecchi saggi solo per quello che mi fa comodo, e non per ciò che davvero significano: mi siedo e aspetto, posso fare solo questo, mentre la tela sottile ma fitta dei miei pensieri più bui ordisce trame che non voglio neppure immaginare.
Aspetto che il disgelo dell'anima si porti via, goccia a goccia, la malinconia dell'immobilismo e spero, in fondo, di poter tornare a sperare, che alla fine è quello che più conta.

martedì 8 marzo 2011

Un soffio caldo

L'alba e i granai,
filtra di qua dal monte.
Piano si accende,
striscia e dà vita al cielo.
Scende e colora
vivida il fiume e il ponte.
Oh è tempo per noi di andare via.
Un respiro d'aria nuova.
Chiudo gli occhi e sento di già
che la stagione mia si innova.
Un soffio caldo che va,
un sogno caldo che va.

Sogni che a volte
si infrangono al mattino;
spengono l'alba, ci spengono pà.
Ma quanti cani
mordono il nostro cammino.
Ohoh, ma i sogni sai non dormono mai.
Un respiro d'aria buona.
Chiudo gli occhi e sento di già
che la stagione mia ritrova
un soffio caldo di libertà
ohohoh, la libertà.

Sotto un cielo d'aria nuova
apro gli occhi e sento di già,
sento pace nell'aurora.
Un soffio caldo di libertà,
Un sogno caldo di libertà
ohohoh, la libertà.

Zucchero e Francesco Guccini



domenica 6 marzo 2011

Il mare immenso

A volte io vorrei arrivare in cima ai tuoi segnali
per intuire tutti i sensi unici
a volte o quasi sempre io mi perdo nella notte
decido poi di scivolarti addosso
e cancellare tutto e niente mi appartiene
ma c’è qualcosa dentro che mi morde l’anima
L’amore che distrugge come cielo a fulmine
il nostro cuore fuorilegge
spara colpi di dolore
è troppo tempo che non si fa più l’amore
non scorre il sangue dentro al fiume
che ci portava verso il mare, quel mare immenso

Adesso non mi pento più e rimango qui da sola
dipingo la memoria alle pareti
lo so che quasi sempre io dimenticavo il senso
non respiravo venti più leggeri
è scivolato tutto e niente ti appartiene
ma c’è qualcosa dentro che mi brucia l’anima
L’amore che distrugge come cielo a fulmine
il nostro cuore fuorilegge
spara colpi di dolore
è troppo tempo che non si fa più l’amore
non scorre il sangue dentro al fiume
che ci portava verso il mare
immenso
Come radici agli alberi d’inverno, senza più foglie
quel mare dentro
che spegne e annega ogni tormento mi toglie il fiato
Ma poi ancora respiro
Senza più fiamme

è troppo tempo che non si fa più l’amore
non scorre il sangue dentro al fiume
che ci portava verso il mare, quel mare immenso...

Giusy Ferreri

giovedì 24 febbraio 2011

Chi sarò io

Debbo sporcare il cielo e
farlo tornare giù
com’era prima
prima che venisse
l’amore, questa strana cometa
prima che quel vento
dividesse le cose
prima che le stelle,
tutte, cadessero nel mare
prima che la prima bocca
si aprisse per farsi baciare
prima che le nostre lacrime
riempissero il mare
e che i pesci in silenzio
decidessero di non parlare.

Voglio sapere chi sarò io
e che uomo, che animale
la prossima vita sarò
quanti campanelli
per trovarti dovrò suonare.
Ti ho visto nascere domani.
Vorrei conoscere
le tue mani
tempo,
dammi il tempo d’imparare
e il sole
per potermi asciugare
un cielo nuvoloso
dove venirti a cercare
una nuvola per nascondermi
e una nuova bocca per poterti baciare

Lucio Dalla

mercoledì 23 febbraio 2011

Il tormento delle figure

L'amore è una soluzione atmosferica, è potassio e iodio, è delirio.
L'amore certamente accresce i lutti e alimenta le passioni.
Distoglie, capovolge e azzera.

E allora io ho avuti tanti amori e li ho azzerati magari con un sorriso, una pausa, una distrazione.

Io sono malata di tempo musicale e nelle mie sospensioni cosmiche vanno a morire i miei amori.
Dentro la musica li ritrovo tutti, quando accendo la radio.

Ci sono ciotoli che si inframmettono in mezzo alle onde e ne determinano il delta.
E i delta a volte sono angosciosi come due stanche braccia che chiedono aiuto al fiume.

A. Merini

lunedì 21 febbraio 2011

La gabbia d'oro

... Ho collezionato esperienze da giganti
Ho collezionato figuracce e figuranti
Ho passato tanti anni in una gabbia d' oro
Si forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero...

Tiziano Ferro da E fuori è buio

venerdì 18 febbraio 2011

Vuoto a perdere

Sono un peso per me stessa
sono un vuoto a perdere
Sono diventata grande senza neanche accorgermene
e ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere
la mia cellulite le mie nuove
consapevolezze (consapevolezze)

Quanto tempo che è passato
senza che me ne accorgessi
quanti giorni sono stati
sono stati quasi eterni
quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente
quanta vita che ho buttato
che ho buttato via per niente
(che ho buttato via per niente)

Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
a cercare qualcosa
qualche cosa di più
che alla fine poi ti tocca di pagare

Sono un'altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene
ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere la mia cellulite le mie nuove consapevolezze(consapevolezze)

Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c'è più
perchè il tempo ha cambiato le persone
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c'è più
perchè il tempo ha cambiato le persone

Sono un'altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene.

Noemi

mercoledì 9 febbraio 2011

... presto ti accorgerai com'è facile farsi un inutile software di scienza
e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza...

Francesco Guccini - Culodritto

lunedì 7 febbraio 2011

Addio

Nell'anno '99 di nostra vita
io, Francesco Guccini, eterno studente
perché la materia di studio sarebbe infinita
e soprattutto perché so di non sapere niente,
io, chierico vagante, bandito di strada,
io, non artista, solo piccolo baccelliere,
perché, per colpa d'altri, vada come vada,
a volte mi vergogno di fare il mio mestiere,

io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite,
riflettori e paillettes delle televisioni,
alle urla scomposte di politicanti professionisti,
a quelle vostre glorie vuote da coglioni...

E dico addio al mondo inventato del villaggio globale,
alle diete per mantenersi in forma smagliante
a chi parla sempre di un futuro trionfale
e ad ogni impresa di questo secolo trionfante,
alle magie di moda delle religioni orientali
che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero,
ai personaggi cicaleggianti dei talk-show
che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero"
alle futilità pettegole sui calciatori miliardari,
alle loro modelle senza umanità
alle sempiterne belle in gara sui calendari,
a chi dimentica o ignora l'umiltà...

Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato,
cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia,
io, tirato su a castagne ed ad erba spagna,
io, sempre un momento fa campagnolo inurbato,
due soldi d'elementari ed uno d'università,
ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato
dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà...

Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito,
a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia
o sceglie a caso per i tiramenti del momento
curando però sempre di riempirsi la pancia
e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati,
ai ceroni ed ai parrucchini per signore,
alle lampade e tinture degli eterni non invecchiati,
al mondo fatto di ruffiani e di puttane a ore,
a chi si dichiara di sinistra e democratico
però è amico di tutti perché non si sa mai,
e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico
ed è anche fondamentalista per evitare guai
a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni
fatto di nebbia, pieno di sembrare,
ricolmo di nani, ballerine e canzoni,
di lotterie, l'unica fede il cui sperare...

Nell'anno '99 di nostra vita
io, giullare da niente, ma indignato,
anch'io qui canto con parola sfinita,
con un ruggito che diventa belato,
ma a te dedico queste parole da poco
che sottendono solo un vizio antico
sperando però che tu non le prenda come un gioco,
tu, ipocrita uditore, mio simile...
mio amico...

Francesco Guccini

domenica 6 febbraio 2011

C'è tempo

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.

Ivano Fossati

venerdì 4 febbraio 2011

Inviti Superflui

Buzzati tratteggia due categorie di uomini: coloro che calpestano ogni principio morale per sottrarsi alla dipartita finale e quelli che per amore dimenticano se stessi. Il protagonista, che non ha un buon rapporto con il figlio, è colto in una situazione che lo costringe a scegliere tra la propria vita e quella di un essere che lui ama. Dare il giusto valore a ciò che si ha, apprezzare le cose importanti già presenti nella propria vita significa non perdere tempo, mettersi sul cammino che conduce alla felicità: questo è il primo messaggio di speranza che s’intravede nelle storie di Buzzati. E se l’uomo non fosse poi così solo? Se la desolazione che avverte fosse soltanto cecità di fronte a ciò che avrebbe potuto renderlo già felice?

Il solo amore però non è sufficiente a colmare il vuoto interiore se l’uomo non ha ancora trovato se stesso; egli rincorre la persona amata, sola nella propria individualità, tentando di trovare in lei le risposte alle proprie inquietudini, piuttosto che frugare dentro di sé.

In "Inviti superflui" il narratore dedica parole speciali alla donna che ama. In seguito però l’uomo si accorgerà che questa non conosce le favole, che non sa parlare come lui, senza parole. La speranza di condividere il viaggio della vita viene meno quando si rende conto che l’amata è semplicemente diversa da lui e continuerà da solo il cammino, alla ricerca della propria interezza.

Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.

Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.

Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.

Tu diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.

E non diresti "Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.

Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.

Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina.

E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

Dino Buzzati

giovedì 3 febbraio 2011

La prova di ciò che in me è più forte di me

"Ho bisogno di scrivere cose che in parte mi sfuggono, ma che rappresentano appunto una prova di ciò che in me è più forte di me”.

Albert Camus - Carnet, 1935/1960

martedì 1 febbraio 2011

Amore, vita, disperazione.

Non v'è amore per la vita senza disperazione di vivere.

Albert Camus

lunedì 24 gennaio 2011

Finché sei vivo, sentiti vivo

Non aspettare di finire l’università,
di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposart...i,
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei dieci chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera,
l’estate,
l’autunno o l’inverno.

Non c’è momento migliore di questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro,
ama come se non ti avessero mai ferito
e balla, come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce,
i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia:
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela.
Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.

Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere.

(Madre Teresa di Calcutta)