lunedì 23 novembre 2009

la vita e la morte

Stasera è arrivata una brutta notizia, come un fulmine ad illuminare un cielo terso.
Una cugina, già malata, ma per la quale i medici avevano escluso allo stato una prognosi infausta, si è improvvisamente aggravata.
Ieri netto miglioramento, oggi improvviso aggravamento.
Mala sanità del sud Italia.
Incredibile nel XXI secolo, in Europa, ma tant'è.
Da noi ci sarebbero state le strutture adatte, innanzitutto a scongiurare il peggioramento delle sue condizioni, ma poi anche per riportarla in una situazione di equilibrio, senza che una banale influenza potesse crearle delle complicanze respiratorie così serie.

Da ragazzina mi ero molto legata a questa persona, con la quale cercavo di trascorrere il maggior tempo possibile durante le vacanze estive.
A casa sua, con coetanei e adulti che ho imparato ad amare giorno dopo giorno e che mi hanno voluto bene come fossi una figlia o una sorella, ho speso le mie giornate migliori di quell'età.
Spensieratezza, gioia di vivere, considerazione e attenzione per le piccole cose, semplicità (e anche buona cucina, sana allegria, sole caldo e mare cristallino), ma soprattutto affetto capace di trascendere qualsisi distanza erano gli ingredienti di quelle lente giornate infuocate d'agosto, in cui il tempo sembrava fermarsi, lasciandoti addosso il senso vero della vita e la capacità di soffermarti su ciò che conta veramente.
Te ne accorgi non quando sei fuori nella luce, ma quando guardi l'asfalto che si spezza sotto il sole attraverso le persiane. E talvolta, purtroppo, è tardi, troppo tardi.

Poi è arrivato il "mostro", era dentro di me, ma si è travestito da Nemesi e mi ha condannato a soffrire tanto quanto avevo gioito e ha condizionato sentimenti e partecipazione, ha limitato frequentazioni e contatti e infine ha cancellato nel silenzio e nel distacco gli affetti.
Una parte di me l'ha proprio uccisa.
E insieme a quella parte di me tutti gli altri soggetti coinvolti sono stati costretti ad accettare, obtorto collo, un progressivo allontanamento, subendo l'onta delle mancate, seppur dovute e doverose, giustificazioni, affogate nel silenzio.
Ancora una volta alla vendetta del male oscuro si è contrapposto l'amore silenzioso del rispetto, che non ha chiesto, non ha condannato, non ha infierito e si è sublimato nella silenziosa comprensione priva di domande.

Ho messo all'ostracismo una parte di me stessa, quella stessa parte che non ho saputo curare fino a tempi più recenti, permettendo che il dolore mi vincesse, mentre lo allontanavo con la mano e mi incancreniva il braccio, tetragona a qualsiasi forma quanto meno di autodifesa, incapace di reagire se non agitandomi, ma nulla concludendo.

Stasera il dolore per questa situazione è acuito dall'impossibilità (forse è troppo tardi) di tornare indietro per rimediare all'inspiegabilità di quel silenzio, per emendare quell'errore incolmabile ed anche tragicamente inespiabile, per colmare la solitudine di quei silenzi, per cancellare il dolore o la disillusione che ho cagionato e per restituire a chi stava in mezzo - esattamente tra me e tutti loro - la libertà dal condizionamento che per amore mio si sono imposti per anni, lasciando che i rapporti sfumassero e sfidando persino il rischio di apparire ingrati oltre che maleducati.

Tanto è cambiato da allora e tanto sono cambiata da allora.
A volte è più la paura di aver paura che la paura effettiva, la codardia che spinge ad allontanare il calice amaro piuttosto che assumersi tutto d'un colpo le proprie responsabilità.
Si dice che sono troppe, ci si giustifica adducendo la pochezza dell'essere umano, si trovano i "se" ed i "ma". Ma questo sappiamo benissimo che è solo il tentativo, vano e ridicolo, di nascondersi dietro ad un dito, troppo sottile per celare le dimensioni di certi agiti talmente indegni di costituire parte di un'esistenza da negarla nel loro manifestarsi.

Si invocano le seconde possibilità, i buoni propositi e ancora si cade nella logica illogica del rintracciare a tutti i costi una giustificazione, attanagliati da rimorsi e pentimenti in un circolo vizioso senza fine.

La vita e la morte, gli opposti che si ricongiungono, con la vita in mezzo di chi vive strattonato tra redenzione ed errore, speranza e tragica consapevolezza del non ritorno, occasioni sprecate e occasioni perse, contingenze invocate e mai propostesi sulla via.
Una sorta di nord e sud dell'anima, dove i chilometri di distanza sono un eterno ritorno dell'uguale laddove si spreca la nuova occasione e il limite invalicabile tra gli opposti quando si cerca con metodica abnegazione di perseguire il proprio obiettivo.

Finchè c'è vita, però, c'è speranza.

Lacrime di pioggia

Lacrime di pioggia
il tuo ricordo mi parla
Dalla mia finestra
io guardo il mondo che passa

Ed ogni giorno ci sarai ogni minuto che vorrai ad ogni passo della vita
E quale strada sceglierai che direzione mi consiglierai ad ogni passo della vita
Sei solo un ombra ma la tua voce mi parla
io che ho creduto e credo in te tutto l'amore che hai per me
ridallo al cuore di tua madre
dalla tempesta dal grande sogno del nulla
e molto presto capirai che tutti gli anni che vivrai cancellano
i peccati suoi

Nei suoi pensieri io vivrò con le sue mani ti accarezzerò
ad ogni passo della vita
Stringila forte quando avrà paura che c'è il mio amore che non l'abbandona
ad ogni passo della vita

Lacrime di pioggia
il tuo ricordo mi parla
Dalla mia finestra
io guardo il mondo che passa

Lacrime di pioggia
Lacrime di pioggia


Antonello Venditti