mercoledì 28 settembre 2011

Legami

Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi.
Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole.
Probabilmente l’incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po' di sé, a scoprire pian piano quel che il cuore cela.
Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute.
O forse accade perchè doveva accadere.
Perché le anime son destinate a trovarsi, prima o poi.

Paulo Coelho

lunedì 26 settembre 2011

Sospiri

A volte succedono cose strane, un incontro, un sospiro, un alito di vento che suggerisce nuove avventure della mente e del cuore.
Il resto arriva da solo, nell’intimità dei misteri del mondo.

Alda Merini

domenica 25 settembre 2011

"Coelum non animum mutant qui trans mare currunt."

Quinto Orazio Flacco, Epistulae I, 11 v.27


mercoledì 14 settembre 2011

Vagavo per i campi del Tennessee 
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

martedì 13 settembre 2011

Pensieri

"Una cosa semplice suscita diecimila pensieri, e da questi diecimila pensieri sbocciano diecimila interassociazioni, e non ho forza di volontà per eliminarli o trattenerli, nè per riunirli in un solo pensiero centrale in cui si perdano i particolari senza importanza ma ad essi associati.
Passano dentro di me; non sono pensieri miei, ma pensieri che passano attraverso di me.
Non pondero, sogno; non sono ispirato, deliro."
Fernando Pessoa

domenica 11 settembre 2011

11 settembre

11 settembre 2001 - 11 settembre 2011


per non dimenticare


il coraggio della disperazione e la dignità di un popolo che non rinuncia ai suoi valori.

venerdì 9 settembre 2011

Cesure

Brividi e senso di smarrimento ogni volta che mi disilludo e scopro che dietro l'apparenza non c'è niente, nonostante la ragione e il sesto senso mi avessero già avvertito da tempo.
Vorrei scacciare da me quel senso di inadeguatezza, quasi che vi fosse una colpa dentro, anzichè una mera rivelazione fuori.
Forse ciò che fa più male non è realizzare di essersi sbagliati e scontrarsi con la conferma fattuale, ma constatare quel rifiuto solo sospettato ed intuito che si appalesa chiaramente e il rammarico consiste nel non essersi saputi spiegare, anche quando vi è la prova provata che non potevi essere capito.
Alla liberazione che accompagna la recisione di un tralcio morto, si sovrappone l'insofferenza per la vacuità della maggior parte dei rapporti umani.
E questa evanescenza riempie la maggior parte dei giorni e permea linguaggi di superficie che non sanno affondare le radici al di sotto della coltre di cenere che ricopre quel che resta della brace o forse sono proprio queste metafisiche dell'apparenza a far illudere che sotto esista davvero un cuore pulsante.

mercoledì 7 settembre 2011

Notti di fine estate

Taglio di luna velato da nubi dai contorni irregolari, aria frizzante, notti di prime coperte sopra le lenzuola, notti di una tarda estate oramai determinata a cedere il passo ad un autunno incipiente, notti che stentano a lasciare il posto ai progetti di serate accoccolati davanti al camino con il cartoccio di caldarroste in grembo, perchè il sogno di quelle trascorse a passeggiare sulla battigia sono ancora troppo vive e vivide.

Notti ancora troppo estive per il calendario e per il cuore per rassegnarsi a rannicchiarsi alla ricerca di tepore, notti di fotografie agostane negli occhi e di occhi non ancora pronti al buio di quella stagione che fa da preludio all'inverno.

Notti in cui combatti con i pensieri e con le rinnovate preoccupazioni del lavoro e ti sembra impossibile credere che soltanto pochi giorni fa eri altrove e ti sentivi altrove, in un altrove che ti sembra ancora una trasposizione dell'adesso, se non fosse per il contorno, che è completamente diverso e cela con la nebbia della realtà un sentire dissociato dall'hic et nunc.

Notti di lotta dura con il sonno, quel sonno che poco tempo fa ti accoglieva sfinito e felice e che ora ti seduce con il peso della giornata e di prospettive tutte in salita e, almeno apparentemente, di una lunghezza snervante. Cerchi di posticipare il contatto con il cuscino e il raggiungimento dell'orizzontalità che trapassa all'oblio per suggere le ultime gocce di un'estate talmente strana da essere troppo vera, cucita addosso da quel Destino che così raramente ti regala sorprese così catartiche e determinanti, bagliori di nuovi inizi che ti esplodono addosso come improvvisi fuochi di Sant'Elmo, destinati a restare impressi come un sigillo sulla pelle.

Resti immobile in una fase di inebriato sbalordimento, trasognato ti accorgi che stai sorridendo, inseguendo e rivivendo attimi, istanti, abbracciando persone e luoghi, quasi che solo la partecipazione completa di cuore e mente al ricordo lo possa rendere più attuale e, di nuovo, un'altra volta, soltanto tuo, per sempre.

Dov'è la realtà? dove il fantasma?

Costruire castelli di carta e, quando il vento soffia, scoprire che non hanno fondamenta.
Vivere in torri d'avorio, in rocche scolpite nella roccia millenaria, destinata a resistere alle stagioni e alle intemperie e non trovarci dentro nulla di famigliare e rassicurante.
L'eterna lotta tra la realtà e il sogno, o peggio, l'eterna schermaglia tra le mille verità percepite da occhi sempre autentici ma interpretate da cervelli diversamente cogitanti.

"A chi credere dei due? Chi è il pazzo? Dov’è la realtà? dove il fantasma?"
(Luigi Pirandello, La signora Frola e il signor Ponza)

Ma se la realtà non sta matematicamente nel mezzo, quale metro di giudizio ci resta?
Quale bussola nel mare della vita?
E, soprattutto, perchè esiste quell'innata tensione verso l'assoluto, se non ci è dato di discernerlo?
Sulle alte cime, dove l'aria pura ci rende quasi perfetti o nella melodia che diventita battito del cuore, o nell'occhio che diventa protagonista di un racconto, nell'immedesimarsi in una vicenda o in un sentimento altrui che pare scritto da noi, si può abbassare questa febbre di sentire. Forse.

martedì 6 settembre 2011

Il dolore

Ci sono momenti in cui annusi il dolore e te ne scosti disgustato.
Ci sono volte in cui lo percepisci nell'anima ed anche nel corpo e ti fa male, ogni volta come se fosse la prima volta.
Ce ne sono altre in cui non puoi fare a meno di rotolartici dentro, con compiacimento, non per masochismo, ma per l'indifferibile necessità di conoscere la vita attraverso la sofferenza, la propria sofferenza, quella che affiora dalla pelle e rimbomba nelle orecchie.
Altre volte il dolore è percepito con distacco, e lo avverti come calore di fiamma lontana, ma sono istanti che durano poco e che a poco servono.
Il dolore va abbracciato, solo quando la sua morsa diventa la nostra stretta è possibile intuire come superarlo, anche se non lo si può quasi mai sconfiggere del tutto.
Dolore come metodo di conoscenza, paradigma di crescita, necessario e vitale viatico.

domenica 4 settembre 2011

La pianta del tè (e sono 33)

Come cambia le cose
la luce della luna
come cambia i colori qui
la luce della luna
come ci rende solitari e ci tocca
come ci impastano la bocca
queste piste di polvere
per vent'anni o per cento
e come cambia poco una sola voce
nel coro del vento
ci si inginocchia su questo
sagrato immenso
dell'altipiano barocco d'oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente.

E non è rosa che cerchiamo non è rosa
e non è rosa o denaro, non è rosa
e non è amore o fortuna
non è amore
che la fortuna è appesa al cielo
e non è amore

Chi si guarda nel cuore
sa bene quello che vuole
e prende quello che c'è

Ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
la pianta del tè.

Ivano Fossati

sabato 3 settembre 2011

Le mani nella sabbia

Lo guardo con occhi trasognati, lo appoggio sul tavolo e ci giro intorno per osservarlo da ogni angolazione, quasi che solo così potessi avere la certezza di rivivere tutto, senza tralasciare nulla; leggo il monito scritto a caratteri neri sulla stoffa viola e mi voglio convincere che basti ripeterlo dentro di me per ottenere l'effetto taumaturgico invocato. Mi sento stregata da quel sacchetto, vorrei aprirlo, guardare dentro e prendere la sabbia tra le mani, affondare le dita e scavare, ma resisto alla tentazione, perchè temo che toccarne anche solo un granello alteri la perfezione dei momenti vissuti anche nel mio ricordo.
Con devozione quasi pagana, contemplo il mio sacchetto e neppure sfioro il laccio, quasi che sfilarne i capi provochi la dispersione di ogni attimo, esponendolo all'oblio.
Lo annuso, cerco di sentire il mare attraverso la stoffa e di risentire con le orecchie le parole sussurrate e gridate, ma anche di ascoltare quelle non dette ma espresse con le mani, lo sguardo e il cuore e di trovare così nuove interpretazioni della vita e nuovi punti di vista sulla realtà.
I granelli di sabbia sono per definizione infiniti, non basterebbe la mia capacità di contare per enumerare ogni sensazione, traboccata dentro alla fine di un percorso in perenne divenire e affiorata grazie a preziosi quanto insperati incontri.
La consistenza del sacco mi fa capire il peso di certi istanti, talmente veri da scavare un solco così profondo da non poter non essere indelebile.
La superficie è dura, se cerco di spingere un dito sulla stoffa a mala pena ne resta un'impronta, così come inscalfibili restano certe esperienze.
Lo colloco con cura in un punto della stanza ben visibile da ogni zona della mia casa: devo poterlo ritrovare ad ogni rigurgito di nostalgia, per sapere che è finito il tempo di spalare le macerie e che è iniziato quello di rimboccarsi le maniche per scavare nuove fondamenta.
La certezza che qualcosa è cambiato non mi spaventa, mi affascina, ma mi lascia sgomenta quando temo di non saper trovare le risorse per il nuovo inizio.
Ho il terrore di vanificare il lavoro di ricerca, che mi è costato sudore e fatica e molto, moltissimo tempo e un dolore incommensurabile e di sprecare l'eccezionalità della scoperta quasi fortuita e improvvisa, sicuramente perfetta nella sua epifania.
Guardo fuori dall'abbaino, questa volta niente luna, il diluvio universale ha appena finito di sfogarsi ed io invoco, ancora una volta, la mia quiete dopo la tempesta.

Ritorno

Dalla cornice dell'abbaino parlo a quello spicchio di luna che, mentre impallidisce il mio volto, illumina anche il mio mare a chilometri di distanza.
Ascolto "Talking to the moon" di Bruno Mars come un canone in crescendo, con la stessa intensità dei miei palpiti, e a ripetizione, ubriacata da questo cortocircuito musicale che segue la concitazione dei miei pensieri in inarrestabile elaborazione e mi domando se anche i miei vicini si stiano chiedendo se sono pazza.
Quella canzone è la colonna sonora perfetta di questa malinconia che non so scacciare, felice in qualche modo di farmi travolgere dai suoi spasmi, che solo vivendo posso percepire come una fase dolorosamente necessaria.
Il tempo si srotola e sfugge, passano i minuti, forse le ore, scorrono i pensieri e le emozioni di queste settimane, la consapevolezza del non ritorno e la certezza che qualcosa è cambiato, il rimpianto per ogni istante vissuto davvero.
Avverto chiara la voglia di ricominciare da questa nuova presa di coscienza, ma non riesco a liberarmi dal nostalgico desiderio di rivivere ogni istante.
Un velo di lacrime avvolge il mio cuore, con potenza inversamente proporzionale a quanto i miei occhi non sappiano piangere e mi chiedo se la commozione sia quella suscitata da un tramonto o da una nuova alba.
Aspetto il sonno come una panacea, ma non mi illudo se dico che sarà solo un placebo.
Che fantastica storia è la vita!


giovedì 1 settembre 2011

Partire

Mi chiedo perchè debba passare la vita a rincorrere sogni e rimpiangere occasioni perse o finite troppo presto.
Ogni partenza per un viaggio, per una meta nota o meno, è accompagnata da un mal di pancia irrazionale, figlio diretto della paura di tutto ciò che è nuovo, e poi, ogni nuova esperienza, prima di sublimarsi nella dolcezza del ricordo, passa ostinatamente peri cocci aguzzi della nostalgia.
Ogni volta è così e ogni volta, nonostante sappia che per me è fisiologico, ci ricasco.
I bagagli mi mettono a disagio, cerco di non guardarli, ci metto dentro tante speranze e tanti ricordi, che solo con il tempo elaboro e comprendo che saranno parte di me per sempre, ma non riesco a perdere la dolorosa abitudine di evitarne il contatto, quasi che dentro di loro si chiudesse una fase della vita per sempre.
In effetti è così, ma se non avessero fine, tutte le esperienze non diventerebbero ricordi e se non si passa per il ricordo non si può dire di aver vissuto.
Non posso non chiedermi perchè le persone che incontro e che diventano davvero importanti per me non possano essere quelle che frequento ogni giorno, tutto l'anno.
Non cedo alla seduzione del principio di autoconservazione e di protezione dai sentimenti, nel bene e nel male, che mi vorrebbe far credere che quelle persone mi colpiscono proprio perchè so che sono destinate a restare meteore nel cielo della mia esistenza: non può essere così, altrimenti non continuerei a sentirle e a cercarle e non continuerebbero a rappresentare incontri importanti della mia vita.
Quando ne provo la certezza, oramai sono abbastanza grande da capire che non mi sbaglio.
Al dolore della valigia e di tutto ciò che rappresenta, si aggiunge quello del distacco; i chilometri mi appaiono insuperabili e non riesco ad accettare la razionale consolazione che il sentimento sopravvive e supera la distanza. In più c'è la lacerazione del tempo: troppe settimane, se non mesi, separano preziosi incontri che la tecnologia, la penna o il suono della voce attraverso un ponte radio non possono compensare.
Ci si abitua al dolore e il tempo lo lenisce, ma non sono capace di affrontare l'immediato: i saluti sono pugnalate, andare per l'ultima volta in un posto nel quale non tornerò per chissà quanto mi distrugge.
Diventano tappe quasi feticistiche, ci metto l'anima ogni volta che mi soffermo per l'ultima volta su uno sguardo o in un luogo, impiegando un tempo insopportabile nel compiere questo doloroso e inevitabile rito.
Come in pellegrinaggio, saluto persone e posti e mi metto al collo una collana fatta di grani diversi e tutti speciali che mi sento in qualche modo cuciti addosso, senza però poterli continuare a toccare, rassicurando le mie dita.
Come posso sopportare i giorni prima della partenza e quelli subito dopo il rientro?
Come posso alterare questo lacerante e inevitabile divenire che fa parte della vita?
Perchè tutto scorre e le mie dita non riescono a trattenere qui ed ora tutta l'essenza di ogni attimo vissuto con l'anima?